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17 marzo 2012

Giuseppe Giusti




       






Gli umanitari


Ecco il genio umanitario
che del mondo stazionario
unge le carrucole.
Per finire la vecchia lite
tra noi bestie incivilite
sempre un po' selvatiche,
coll'idea d'esser Orfeo
      vuol mestare in un cibreo*  
l'Universo e reliqua.
Al ronzio di quella lira
ci uniremo, gira gira,
tutti in un gomitolo.
Varietà d'usi e di clima
le son fisime di prima;
è mutata l'aria.
I deserti, i monti, i mari
son confini da lunari,
sogni di geografi.
Col vapore e coi palloni
  troveremo gli scorcioni**
anco nelle nuvole
Ogni tanto, se ci pare,
scapperemo a desinare
sotto, qui agli Antipodi;
e ne' gemini emisferi
ci uniremo bianchi e neri :
 bene ! che bei posteri ! ...
Finirà, se Dio vuole,
questa guerra di parole,
guerra da pettegoli.
Finirà : sarà parlata
una lingua mescolata,
tutta frasi aeree;
e già già da certi tali
nei poemi e nei giornali
si comincia a scrivere.
Il puntiglio discortese
di tener dal suo paese
sparirà tra gli uomini.
Lo chez-nous di un vagabondo
orrà dire in questo mondo,
non a casa al diavolo.
Tu gelosa ipocondria
che m'inchiodi a casa mia,
escimi dal fegato;
e tu pur chètati, o Musa,
che mi secchi con la scusa
dell'amor di patria.
Son figliuol dell'Universo
e mi sembra tempo perso
scriver per l'Italia.
Cari miei concittadini,
non prendiamo per confini
l'Alpi e la Sicilia.
S'ha da star qui rattappiti
sul terren che ci ha nutriti?
O che siamo cavoli ? ...





* Miscuglio
** Scorciatoie



Giova alla comprensione della Satira le ideologie sul cosmopolitismo del Giusti in quest'altra dal titolo : La Rassegnazione.


                                   

La rassegnazione


                                                  
Prima padron di casa in casa mia;
Poi, cittadino della mia città;
Italiano in Italia, e cosi' via
Discorrendo, uomo dell'umanità;
Di questo passo do vita per vita,
E abbraccio tutti e son cosmopolita.



Giuseppe Giusti




12 marzo 2012

LUDOVICO ARIOSTO







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Orlando Furioso


dal Canto Primo


33
Fugge tra spaventosi ed oscuri boschi,
per luoghi inabitati, selvaggi e solitari.
Il rumore provocato dal movimento dei rami e dalla vegetazione
di querce, olmi e faggi, che Angelica sentiva,
causa le improvvise paure, le avevano
fatto intraprendere insoliti sentieri da ogni parte;
perché ogni ombra che vedeva sui monti o nelle valli,
le facevano temere di avere ancora alle spalle Rinaldo.

34
Come un cucciolo di daino o capriolo,
che tra i rami del boschetto nel quale è nato
abbia visto la gola della madre dal morso
del leopardo stretta, o che le squarcia il petto od il fianco,
scappa dall'animale crudele di bosco in bosco
e trema per la paura e per il sospetto della sua presenza:
per ogni cespuglio che tocca al proprio passaggio
crede di essere già già in bocca alla belva crudele.

35
Quel giorno, la stessa notte e per metà del giorno seguente
vagò senza sapere dove stesse andando.
Venne a trovarsi infine in un boschetto leggiadro,
mosso delicatamente da un vento fresco.
Due ruscelli trasparenti, riempiendo l'aria del loro gorgoglio,
consentono la presenza sempre dell'erba e la sua crescita;
e rendevano piacevole da ascoltare il concerto,
interrotto solo tra piccoli sassi, del loro scorrere lento.

36
Qui, credendo di essere al sicuro
e lontana mille miglia da Rinaldo,
per lo stancante tragitto ed il caldo estivo
decide di riposare per un po' tempo:
scende da cavallo tra i fiori e lascia andare a nutrirsi,
senza briglia, libero, il proprio destriero;
l'animale vaga quindi nei dintorni dei ruscelli,
che avevano piene le rive di fresca erba.

37
Non lontano da sé Angelica scorge un bel cespuglio,
fiorito di susine e di rose rosse,
che si specchia nelle onde limpide dei ruscelli
ed è riparato dal sole dalle alte querce ombrose;
vuoto nel mezzo, così da concedere
fresco giaciglio tra le ombre più nascoste:
le sue foglie ed i suoi rami sono talmente intrecciati che non
passa il sole, e nemmeno la vista dell'uomo, meno penetrante.

38
L'erbetta morbida crea un letto all'interno del cespuglio,
invitando a stendersi sopra chi vi giunge.
La bella donna si mette in mezzo al cespuglio,
lì si corica e quindi si addormenta.
Ma non rimane lì addormentata molto tempo,
che le sembra di sentire avvicinarsi un rumore di calpestio:
si solleva piano piano e presso la riva di un ruscello
vede essere giunto un cavaliere armato.

39
Angelica non riesce a capire se gli è amico o nemico:
il timore e la speranza le scuotono il suo cuore dubbioso;
attende che quella avventura giunga ad un termine
senza emettere neanche un solo sospiro.
Il cavaliere si siede in riva al ruscello
reggendosi la testa con un braccio;
e viene tanto rapito dai propri pensieri, al punto che,
immobile, sembra essersi mutato in insensibile pietra.

40
Assorto dai propri pensieri, con il capo basso, per più di un'ora
stette, cardinale Ippolito, il cavaliere abbattuto;
dopo di ché cominciò con un lamento afflitto e dolente
a lamentarsi in modo tanto struggente,
che avrebbe infranto un sasso per pietà,
una crudele tigre fatta misericordiosa.
Piangeva tra i sospiri, tanto che un ruscello
sembrava scorrergli sulle guance ed il petto un vulcano infuocato.

41
Diceva: "Pensiero che mi ghiaccia ed arde il cuore,
e causa il dolore che sempre lo consuma,
che ci posso fare se sono giunto tardi
ed altri, arrivati prima, avevano già colto il frutto (Angelica)?
Ho ricevuto a stento suoi sguardi e parole,
altri hanno invece ricevuto tutto il ricco bottino.
Se a me non spettano né il frutto né il fiore,
perché per lei voglio ancora tormentare il mio cuore?

42
La vergine è simile ad una rosa,
che in un bel giardino, sul rovo che l'ha generata,
si riposa finché è sola ed al sicuro,
e né gregge né pastore le si avvicinano;
la brezza delicata e la rugiada del mattino,
l'acqua e la terra si inchinano davanti al suo fascino:
giovani amanti e donne innamorate
amano ornarsi il collo e la testa lei, la rosa.

43
Ma non appena dallo stelo materno
e dal ceppo verde del cespuglio viene staccata,
quanto aveva per gli uomini e per il cielo
fascino, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che il proprio fiore, del quale deve avere cura più
che dei propri begli occhi e della propria vita,
lascia cogliere ad altra persona, perde l'ammirazione che poco
prima aveva nel cuore di tutti i propri amanti.


( da L'Orlando furioso )


P.S   Per la parafrasi completa del canto primo andare alla fonte :

       fonte: capolavoroitaliano   
       http://www.capolavoroitaliano.com/orlando-furioso/parafrasi/canto-1.html


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FERNANDO PESSOA


Alla fine della conoscenza delle cose tutto quel che siamo stati, detriti di anime e di stelle , sarà gettato via affinchè quel che esiste ricominci.

( da : il libro dell'inquietudine )




                                                       Astrologo dolomitico








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